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4 La visione politica e il problema educativo

La Repubblica: Il titolo originale dell’opera è Politéia che deriva da polis, la città-stato che all’epoca costituiva l’unità politica dell’organizzazione sociale della Grecia e significa letteralmente insieme dei cittadini, vita politica ma anche forma di governo. È un’opera importante, un dialogo in 10 libri, la cui tesi centrale è che l’uomo si realizza pienamente soltanto come cittadino, cioè come membro della propria città.

Platone elabora un modello di stato ideale, utopico (nel senso che non esiste nella realtà, dal greco =non e tòpos=luogo) ma rappresenta un paradigma di riferimento per i contemporanei e storicamente è alla base della filosofia politica occidentale.

 

Il modello dello stato ideale

Seguendo la tripartizione dell’anima umana (mito del carro alato*) la società deve essere divisa in tre classi:

1.     Governanti (comandano);

2.     Guerrieri (difesa militare);

3.     Lavoratori (provvedono ai bisogni materiali).

Le virtù necessarie sono: la saggezza che compete ai governanti, il coraggio che compete ai guerrieri e la temperanza che compete ai lavoratori, ma anche alle altre due classi in quanto permette a tutti di accettare il proprio ruolo, frenando gli istinti.

Altra virtù fondamentale è la giustizia che è la capacità di adempiere bene il proprio compito di cittadino.

Il mito delle stirpi illustra l’origine (mitica) della divisione in classi della società, ma anche la possibilità di passaggio da una classe all’altra, secondo il pensiero di Platone. La morale del mito è che bisogna mettere gli uomini meritevoli e capaci ai posti giusti e che gli uomini, pur essendo uguali per dignità e origini, hanno attitudini e predisposizioni differenti.

 

L’aristocrazia della ragione

Platone pensa ad un regime aristocratico, cioè governato dai migliori (àristoi) che sono i filosofi, che avendo la conoscenza del bene possono guidare la città dedicandosi al bene comune.

 

I regimi corrotti

Platone ne elenca quattro in ordine crescente di corruzione:

1.     La timocrazia (da timè=onore) governata da uomini ambiziosi che pensano alla propria gloria;

2.     L’oligarchia governo dei pochi (òligoi) ricchi e avidi di denaro che escludono i migliori e i competenti dalla guida della città favorendo l’ingiustizia;

3.     La democrazia in cui, quando la moltitudine dei poveri prevale sui pochi ricchi, si diffondono l’individualismo, l’anarchia e la sfrenata libertà. La democrazia prelude al regime peggiore;

4.     La tirannide “l’ultima malattia per uno stato” in cui il tiranno, dopo aver preso il potere con la forza, si libera dei saggi e si circonda di vili adulatori, si abbandona a passioni disordinate e compie orrendi misfatti.

Democrazia (dal greco démos=popolo e kràtos=potere) ha per Platone un significato diverso (più simile ad anarchia) di quello che gli viene attribuito oggi nelle democrazie occidentali.

 

Il ruolo e il percorso educativo dei filosofi

Accanto alla concezione politica di un governo affidato ai filosofi, Platone elabora un progetto educativo, basato sull’aspirazione al bene, per l’uomo di stato-filosofo che deve possedere la scienza vera (epistéme).

Le tappe del progetto educativo: tutti i bambini di ambo i sessi vanno educati dallo stato fino al diciottesimo anno. Si inizia dal settimo anno con la ginnastica, la musica e la matematica per stimolare le capacità di astrazione, memoria e penetrazione logica. Per Platone la matematica è scienza propedeutica, ossia prepara allo studio, della filosofia (più delle materie letterarie come da tradizione). Dai 18 ai 20 anni il giovane si dedica al servizio militare, sospendendo l’attività intellettuale e poi si dedica allo studio delle scienze. A 30 anni i migliori studiano filosofia, in particolare il metodo dialettico. Dai 35 ai 50 anni i filosofi partecipano alla vita politica, affiancando funzionari esperti e a 50 anni la selezione dei migliori potrà governare la città. Affinchè non siano tentati dall’egoismo e dall’interesse privato, Platone ritiene che i governanti non debbano avere né proprietà né famiglia: un ideale formativo estremamente impegnativo.

 

Il mito della caverna

Riassume il pensiero platonico nelle componenti fondamentali: metafisica (l’essere), gnoseologica (la conoscenza), etico-politica (la virtù come conoscenza e il ruolo del filosofo nella società).

Caverna: prigionieri incatenati (fin dalla nascita) costretti a guardare davanti a sè il fondo della caverna su cui si muovono ombre che sono proiettate da oggetti che vengono mossi da dietro un muretto, da cui sporgono, alle loro spalle, illuminati da un fuoco che sta ancora più indietro. Oltre il fuoco l’apertura della caverna sul mondo. Un prigioniero che si liberasse farebbe fatica a considerare più reali gli oggetti che proiettano le ombre essendo abbagliato dalla luce. Se poi esce dalla caverna, la luce del giorno gli fa male agli occhi e gradualmente vedrà le immagini delle cose riflesse nell’acqua e poi le cose stesse e poi la luna e le stelle e il sole, signore del mondo visibile. Dopo questa esperienza non vorrebbe tornare al buio della caverna, ma ci torna per dovere morale e per portare ai suoi compagni la verità. Facendo fatica ad adattarsi nuovamente al buio verrà fatto oggetto di scherno e di disprezzo da parte dei sui vecchi compagni di prigionia.

 

Il significato del mito

Caverna = mondo sensibile

Prigioniero che si libera = faticoso itinerario educativo del filosofo

Uscita dalla caverna = conoscenza delle idee

Il sole = il bene

Ritorno nella caverna = prendersi cura del bene comune

La filosofia, pur essendo spesso in dissonanza con l’opinione comune non deve estraniarsi dalla vita civile e politica.

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